lunedì 18 maggio 2015

Teoria della Diarioterapia: Cenni storici e fondamenti 2/4


La diarioterapia: cenni storici e fondamenti.

La Diarioterapia è una tecnica di autoanalisi messa a punto da Ira Progoff (1921-1998), basata sulla scrittura di un diario intensivo (come lo chiama lui), utile per superare le inibizioni ed i blocchi psichici ed agire in modo adeguato per modificare al meglio la propria vita. Per P. il diario scritto tutti i giorni deve essere rielaborato, in un secondo tempo, ricorrendo alla scrittura creativa. Tale tecnica si trasformerebbe in un formidabile mezzo di autocoscienza. Il D.I. si presenta come un metodo strutturato in maniera tale da permettere di attingere al contenuto dei moventi profondi e desideri nascosti che albergano in ogni individuo. Con la tecnica di P. è possibile una analisi di se stessi, per osservarsi e confrontarsi al meglio delle possibilità, proprio secondo la ben nota frase “conosci te stesso”. P., americano, fondatore del Dialog House di New York City, si è fatto anche conoscere per la diffusione del pensiero junghiano alla gente comune pubblicando numerosi tesi sulle teorie di Jung. P. ha iniziato ad esplorare metodi psicologici per la creatività e l'esperienza spirituale nelle loro applicazioni sociali nei primi anni 1950. La sua tesi di dottorato nel campo della storia sociale delle idee presso la New School era sul lavoro di CG Jung. Nel 1953, la tesi è stata pubblicata in copertina rigida da Julian Press come Psicologia di Jung e il suo significato sociale. Le edizioni successive sono state pubblicate dalla Grove Press, Anchor/Doubleday, e Dialog House. Dopo aver ricevuto il suo dottorato, P. si è aggiudicato una borsa di studio Bollingen e ha studiato privatamente con Jung in Svizzera. Questo lavoro ha portato ad una ricostruzione della psicologia del profondo, in termini di lavoro successivo di Freud, Adler, Jung, e Rank in La morte e la rinascita di Psicologia e una prima dichiarazione di Holistic Profondità Psicologia in profondità Psicologia e l'uomo moderno. Nel 1963, P. ha presentato il metodo di Psiche Evocando in simbolico e reale. Nel 1966, P. trasse dai principi descritti in questi libri per introdurre il metodo Intensive Journal dello sviluppo personale, l'innovazione per la quale è più ricordato. Si tratta di un sistema non analitico e integrativo per evocare e interrelazionare il contenuto di una vita individuale. P. ha scritto due libri che descrivono il metodo: Workshop Journal e The Practice of Process Meditation. La popolarità del sistema si diffuse rapidamente.
La diarioterapia, simile per l'aspetto di autoanalisi e di rielaborazione del vissuto alla fototerapia, permette al cliente un’esplorazione potenzialmente infinita delle epoche di una vita. Il proposito della redazione del diario come esercitazione della cura di sé è quello di recuperare le figure della memoria, dell’immaginario che nel tempo attivano o riattivano comportamenti e modi di essere. L'obiettivo è, come sempre per tutte le tecniche di counseling, quello di imparare a riconoscere il loro insorgere nel presente per procedere verso il futuro guardando con accettazione e benevolenza al passato. La scrittura del diario ha una sua metodica ed in quanto tale si configura come un potente strumento per intraprendere questo percorso di riappropriazione di sé, in particolare attraverso quelle che P. chiama guide di retroazione (spontanei rimandi alle varie coloriture dell’esistenza). Le specifiche sezioni di diario sono costantemente modulate dalla figura del dialogo, sia esso con la società, i lavori, i sogni, le figure di saggezza, le immagini crepuscolari, i ricordi, o una vita non vissuta. La presenza dell'altro in uno spazio libero dove ognuno trova la propria dimensione meditativa, tra movimento e postura localizzata, contribuisce a definire le intenzioni trasformative di questa esperienza.
Un momento in cui la D. produce benefici consistenti è durante l'adolescenza. Questo periodo di sviluppo, caratterizzato da grandi cambiamenti, nel corpo come nella psiche, si offre come terreno fertile alla pratica della D. In questo momento della vita la costruzione della personalità assume un impegno psicologico molto forte, addirittura stressante. Poiché un aspetto interessante della D. è quella di scaricare la tensione, scrivere può rappresentare un diversivo, un guardare altro da ciò che il presente pressantemente chiede; potrebbe anche essere un guardare oltre, tenere un diario rappresenta un buon sistema per far fronte alle situazioni di stress che i giovani si trovano spesso a vivere.
Sembrerebbe che anche gli anziani e in particolare i malati di alzheimer, quando ci riescono, possano trarre benefici dalla pratica dello scrivere. I poteri intrinsechi della scrittura nel mantenere in attività alcune aeree cerebrali è senza dubbio ovvia e non ha bisogno di approfondimenti, se non per soddisfare una “fame” di natura scientifica. Per questo motivo mantenere allenata la mente, spingerla a ricordare e a ricordarsi, è sicuramente una buona attività per le persone anziane, e insieme ad una moderata attività fisica, può indubbiamente apportare una serenità e una chiarezza di spirito e confortare l'ultimo periodo della nostra vita. Sappiamo tutti che anche leggere è un ottimo esercizio per tenere allenata la mente e la maggior parte di noi è consapevole che una caratteristica comune a molti centenari è proprio il loro rapporto con il leggere e lo scrivere.
Adolescenti, anziani, si certo, ma anche gli adulti possono ricorrere alla D. per riordinare le loro idee, per meglio descrivere il futuro, per organizzare un progetto. Il segreto dello scrivere, uno dei tanti, è che la nostra mente, in quel preciso istante, nel fatidico qui ed ora del passaggio del pensiero dalla mente alla carta, lo rielabora. Non appena il pensiero prende forma, disegno, dimensione, sulla carta, il nostro occhio lo ri-vede e la nostra mente lo ri-flette e i neuroni lo ri-elaborano. Ed è proprio questa rielaborazione che permette a questa semplice tecnica di offrire un setting dove portare, con calma, con il nostro tempo, secondo le nostre volontà, ciò che ci sta a cuore, sia esso dolore, sia esso gioia. Il diario diventa il counselor che ci ascolta e in questo processo in cui i pensieri, le ansie, le speranze, prendono forma, la scrittura diviene la riformulazione silenziosa, eco, semplice e chiarificatrice che ci fa attraversare lo spazio della forma (secondo la gestalt) dalla figura allo sfondo.
Quindi adolescenti irrequieti, adulti alla ricerca, anziani consapevoli, tutti possono trarre benefici dalla scrittura. Non posso non menzionare, adesso che mi viene in mente, le lettere di amore scritte e mai spedite che molti di noi (spero di non essere stato il solo a fare questa esperienza) hanno poi rimesso in un cassetto, posate nella memoria, dimenticate e ritrovate. Alcune sono state stracciate, lacerate, strappate, come forse lo era stato il nostro cuore. Anche questa è terapia, anche questa è rappresentazione e trasformazione, sublimazione di un dolore. Non ci insegnano forse nella gestalt a rappresentare la sedia vuota? Non ci insegnano a simulare facendo finta che è vero? E non diventa vero quel che facciamo per finta? Così la scrittura diventa vera e a sua volta viva, perché anche se giriamo quelle pagine, anche se chiudiamo il libro, anche se non torneremo mai più a legger-ci, anche se avremo dimenticato di aver scritto, quello scritto rimarrà dentro di noi, più vivo che mai. Anche in questa modalità si vede chiaro che il benessere non passa attraverso il dimenticare, la scrittura non serve a seppellire i ricordi e le macerie della vita, ma è un sistema per rielaborare il vissuto, per riportare alla vita quelle parti morte di noi.
La D. come parte della psicoterapia narrativa viene bene descritta da Filippo Mittino:
La capacità di narrare può essere intesa come una funzione mentale (Blandino 2009;Maggiolino 2011). Le parole di Hillman e quelle di Calvino poste in esergo offrono uno spazio di riflessione fondamentale per introdurre questa argomentazione. Hillman (1983) chiarisce la natura della mente umana, sostiene che non è fondata sulle microstrutture del cervello o sul linguaggio, ma sull'insieme di quelle storie supreme che costituiscono i modelli dell'agire umano: i miti. Questi sono schemi esemplari che permettono di interpretare aspetti della vita di tutti i giorni; gli antichi facevano spesso di questi racconti per illustrare dinamiche dell'animo umano, che, diversamente, non sarebbero state colte. I miti sono caratterizzati da una struttura aperta, nel senso che le storie che abitano la mente umana, come fossero un'eredità o un patrimonio comune a tutti, possono essere combinate e ricombinate per dar vita a storie originali volte a spiegare la vita di ciascuno (Lévi-Strauss 1978). Calvino (1983), poi, illustra la ragione per cui l'uomo è portato a raccontare: lo fa per rendere rappresentabile qualcosa che diversamente rimarrebbe sconosciuto e per liberare quelle idee, quelle emozioni che senza sosta bussano alla porta del “tabernacolo della nostra mente” (Fornari 1969). dalle parole di questi due autori emerge come la funzione narrativa sia tipica di ogni individuo e come il narrare sia un atto fisiologico quasi come il respirare. La narrazione, intesa come racconto di storie, è vista quindi come fondamentale per dare un'organizzazione al proprio mondo interiore, per imparare ad attribuire significati all'esperienza umana.



Per Freud la scrittura è una modalità di sublimare le proprie nevrosi. Raccontare e raccontarsi è un atto curativo-riparativo. Il testo è per lo scrittore l'equivalente del sintomo per il nevrotico. Jung insiste sul fatto che la scrittura è una finalità sana dell'essere umano. Rank afferma che sia lo scrittore che il nevrotico cercano nuove immagini di Sé: il nevrotico attraverso i sintomi, lo scrittore attraverso le sue opere. Quest'ultimo aspetto penso si possa estendere anche ad altri artisti oltre agli scrittori, e quindi a pittori, scultori, poeti, compositori...Maslow, giustamente, afferma che la scrittura è un mezzo utile (motivazione) al processo di autorealizzazione.

 Teoria della Diarioterapia 3/4


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