giovedì 29 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo terzo


Colline nei pressi di Capaccio - Salerno

Il caffè saliva facendo borbottare la caffettiera. Alex ruminando il suo sogno era passato dal bagno alla cucina e si apprestava a rifornirsi di caffeina così che ogni offuscamento mentale residuo del risposo notturno sarebbe scivolato via. Una tazza di caffè bollente gli avrebbe schiarito completamente le idee. Bevve un sorso e si diresse nello studio all'ingresso dove, al ritorno da lavoro, era solito lasciare la ventiquattro ore. Ne trasse l'agenda e continuando a sorseggiare il caffè, ritornò in cucina. Si sedette per dare uno sguardo agli impegni di quella giornata e considerò che avrebbe potuto farcela. L'agenda era sì piena ma non abbastanza da farlo rientrare stressato, era sua abitudine prefissarsi ritmi adeguati a quelli che lui definiva “personali” indicando così, come era solito dire ai corsisti che partecipavano ai suoi corsi di formazione, che ogni persona ha un suo ritmo, ha una sua specificità nell'impiegare le risorse per raggiungere gli obiettivi. Gli piaceva molto, durante i corsi, proporre la frase “attraversare il tempo” e pensandoci adesso, mentre passava lo sguardo sugli appuntamenti della giornata, qualcosa nella sua mente, a questa frase, “attraversare il tempo”, gli fece pensare alla relatività, e poi con una banale quanto inevitabile associazione ad Einstein, per arrivare al professore. E di ritorno al sogno.

Qualche scena più in là, dopo un po', nel sogno compare il famoso professore a proporre ad Alex, quasi in contrapposizione all'esagerata umiltà che mostrava nel ritirarsi dagli eventi importanti, come il partecipare anche solo da spettatore all'imminente congresso, di essere suo assistente sul palcoscenico. Quando il professore sarebbe salito sul palco per illuminare la platea su aspetti complicati della fisica, compresi quelli riguardanti la branca della fisica quantistica, delle interazioni tra la dimensione pensata della mente e la dimensione dei fatti reali, avrebbe sicuramente fatto ricorso al suo amato humour per spiegare la scienza e la fisica con divertenti metafore. Mentre l'ilarità avrebbe scosso i presenti, Alex sarebbe stato lì, a far da assistente al suo professore. Qualcuno, per non dire molti, non avrebbe compreso le sue teorie, né tanto meno il suo intelligente humour, e questo faceva parte di quei fatti che, si sa, inevitabilmente accadano. 

Gli esseri umani perseguivano da tempo, quel processo di atrofizzazione dei centri cerebrali volti alla capacità sia di comprendere la differenza tra buono e inutile e sia di sviluppare comportamenti adeguati alla sopravvivenza della specie, per cui ogni tentativo di cambiamento, anche lieve di questa struttura psichica, richiede uno consumo enorme di energia in termini di attenzione, di stimolazione, di verifiche e di risultati a dente di segna; si abbisognava di una innata capacità di sopportazione e di pazienza per restare in quell'ambiente accademico dove si veniva matematicamente a dimostrare la teoria del soprannumero di ignoranti e di presuntuosi che circolano sulla superficie terrestre rispetto agli umili e ai capaci. Ciò non toglie che sia il professore che Alex e di tutti coloro di cui si è trattato fin qui, avrebbero potuto far parte delle prime due classi di individui, e questo non per offrire al lettore del momento un simulacro di scuse, tanto per confutare che l'ego, quando è isolato dalla consapevolezza, parola che ci riporta alla coscienza di sé e di rimando alla conoscenza di se stessi, da qualsiasi pulpito faccia sentire la sua voce, è notoriamente portatore sia di illusioni che di falsità. Più di illusioni, in verità.

Alex sarebbe stato così ricompensato dalla buona sorte. Il professore gli aveva suggerito anche il posto, contrassegnato dal codice 24h, che sarebbe stata la poltrona a lui riservata e da cui si sarebbe gustato quell'importante avvenimento accademico dove molte personalità importanti, del mondo della scienza, avrebbero illustrato le loro ultime teorie. Alex avrebbe avuto una poltrona prenotata e da lì poi si sarebbe alzato per accompagnare il professore al palco, genio tra i geni di quella serata, con lo stupore di molte sue conoscenze, che sarebbero rimaste, a causa della forte invidia da sempre nutrita verso il mite Alex, chi senza fiato e a chi invece il fiato non sarebbe mancato sarebbe rimasto a bocca aperta, con la tipica espressione del pesce a cui un ictus gli ha appena devastato quella zona cerebrale deputata all'articolazione della parola.


Alex con l'umiltà che gli era familiare e che esternava anche nel sogno, dove addirittura sembrava che si accentuasse maggiormente, espose i suoi dubbi sulle capacità di poter assistere degnamente il suo mentore in mezzo e davanti a quella enorme platea. “Niente paura” lo rassicurò il professore e per meglio spiegare come si sarebbe svolto la sua opera di assistenza disegnò uno schema alla lavagna, proprio come era solito fare ai tempi della scuola, con quello stile tipico del professore che usa il gesso come un prolungamento delle sue capacità comunicative. Il professore era capace di rivolgere le spalle alla scolaresca per periodi che sfioravano la mezz'ora piena, mentre era intento a scrivere formule dopo formule, da cui traeva paradossi e diseguaglianze, attraversando il territorio dei logaritmi, dribblando tra integrali ed equazioni a enne variabili, e scriveva, scriveva, scriveva fino a quando non c'era più spazio alla lavagna. Era quello il momento in cui rivoltandosi alla scolaresca fissava i suoi alunni come se fosse in trance e discendesse, proprio in quell'istante, da un'astronave proveniente dal pianeta Pitagora. Quanto ai ragazzi, invece, avevano la faccia di chi avesse appena assistito al big bang. In quei momenti sembrava che tutta la scolaresca attraversasse un tunnel spazio temporale, come se le formule alla lavagna stessero materializzando quell'universo matematico così da trasportare come in un vortice studenti, professore, banchi, lavagna, libri, quaderni, sedie, penne e tutto ciò che in quell'aula fosse dotata di una dimensione atomica in un angosciante qui ed ora. Solo un attimo e poi la totalità degli elementi costituenti il sistema aula, come un unico organismo, sarebbe ritornato dal quel viaggio nel tempo di una manciata di microsecondi, tirando un sospiro di sollievo. Quando il gessetto con cui spaziava alla lavagna si riduceva ad un microscopico monchetto, allora egli mostrando quel che rimaneva si rivolgeva alla classe attendendo pazientemente che qualcuno si occupasse di farne rifornimento. Velocemente un volontario si sarebbe alzato dal suo banco, sotto gli occhi intimidatori e minacciosi dei suoi compagni, sarebbe corso dal primo bidello disponibile per ritornare, velocemente in classe, troppo velocemente secondo i compagni, a rifornire il professore genio, che, nel frattempo, aveva acceso e aspirato avidamente mezza MS con le sue dita oramai segnate dal nero nicotico. 

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