Capitolo primo
Paragrafo quinto
Cespuglio di margherite giganti |
La
scena del sogno continua con Alex impegnato in un lungo
percorso per recarsi al congresso che l'avrebbe portato per strade di
campagna, viottoli a bordo di campi incolti, fino a passare per un
piccolo paese, un pugno di case, dove attraverso stretti vicoli la
sua camminata diventava sempre più ardua. Anche per via di
un'ingombrante sedia di legno, quelle di vecchia fattura, priva di
braccioli, con cui doveva segnare ogni passo che compiva. Era come se
la usasse a mo' di bastone. Fin quando il cammino si svolgeva per le
strade, il percorso, anche se faticoso, si rendeva fattibile, quando
invece si trattava di immettersi in stretti vicoli la presenza di
quella sedia diventava un vero e proprio ostacolo al proseguire. Alex
era quasi giunto alla fine del paese, lo aveva attraversato quasi
tutto, quando uscendo da un basso portico, di quelli che si trovano
ancora nei centri storici dei piccoli centri, si trovò a fare
l'equilibrista con la sua sedia, tanto era divenuto stretto il
vicolo, e per di più, tra pochi metri quel vicoletto si sarebbe
trasformato in una ripida scalinata che l'avrebbe portato al livello
inferiore dove correva la strada principale del paese. Era una scala
i cui gradini, man mano che si digradava, diventavano sempre più
piccoli e le mura sempre più strette fino al punto in cui la sua
sedia sarebbe sicuramente rimasta incastrata. Insieme ad Alex. “Non
è proprio il caso di passarci” pensò dopo aver bene osservato la
forma e lo scendere di quella scala. “Sicuramente sarò costretto a
tornare indietro, tanto vale non tentare” si diceva mentre
osservava la strada principale, larga e comoda, che passava a pochi
metri più sotto. Perciò preferì fare retromarcia, e dalla cima
della scala si rivolse come a tornare indietro ma solo per fare un
giro un po' più lungo.
Dopo un po' Alex già camminava agevolmente
sulla strada sottostante, la sedia non gli era più d'impiccio, e
pensare che solo qualche secondo prima quella stessa strada gli
sembrava inaccessibile e irraggiungibile, e che invece solo per una
piccola deviazione, adesso la si poteva percorrere in tranquillità e
andare oltre. Fu a quel punto che sopraggiunse il professore a bordo
di una vettura comoda e spaziosa, quella con cui è facile
trasportare anche dei carichi abbondanti e ingombranti, una
furgonette. Il professore dimostrava così, anche con la scelta
dell'auto, di essere una persona estremamente pratica e di rifuggire
tutto ciò che aveva il senso del superfluo e dell'inutile.
All'improvviso
è notte, la furgonette si avvia a transitare per la strada
principale del paesino e ad un certo punto il tragitto continua e si
insinua in una galleria. Non era una vera e propria galleria stradale
quanto una specie di grotta naturale illuminata da luci che davano
alle mure e alla strada singolari riflessi di colore giallo, come se
l'illuminazione provenisse da lampade a petrolio, anzi sembrava che
la luce provenisse da una tecnologia ancora più primitiva. Dalle
ombre che ondeggiavano sui muri pareva che il tutto fosse adornato da
bastoni fissati alle pareti e impregnati da grasso di balena il che
dava alla scena un senso di magia misto ad inquietudine. Ad un certo
punto il cammino termina di fronte ad un garage, più che un garage
sembra una grotta nella grotta il cui ingresso è chiuso da una porta
basculante. La furgonette si arresta proprio davanti alla grotta, la
porta si apre, e un grande spazio riempie la vista un po' stupita di
Alex.
Lì sotto era pieno di quegli oggetti tipici che si portano
“giù” in garage o in cantina o in un deposito dove finiscono
quelle tante cose che non riteniamo più utili e da cui, nonostante
l'inutilità che rappresentano per la nostra vita, non ce ne
riusciamo a staccare del tutto. Per questo le releghiamo in cantina e
non le diamo al rigattiere. E' come se un legame ci unisse ancora a
questi oggetti che un tempo erano rappresentativi di un pezzo della
nostra vita interiore e allora continuiamo ad accumulare, accumulare
e accantoniamo giù, giù, sempre più giù, oggetti di scarto,
usati, rotti, mutilati. Oggetti consumati dal passato, dalla vita,
oggetti che portano il segno dei nostri errori e che ancora sono per
noi come cicatrici non guarite. Per questo sono là, nel cimitero del
nostro inconscio, perché aspettano di essere sanate, attendono che
noi decidiamo, un giorno o l'altro, di guarirle. Non riusciamo a
distruggerli, questi oggetti, questi pezzi della nostra vita,
potremmo bruciarli come ai tempi addietro nei rituali fuochi
purificatori di Sant'Antonio o buttarli giù dal balcone, seguendo
un sport nazionale oramai abbandonato, come quando l'anno giungeva
alla notte di San Silvestro. Il povero santo nulla c'entrava con il
nostro desiderio di fare spazio, era soltanto un gesto, quello di
buttare giù, che avrebbe permesso al nuovo di entrare nella nostra
vita alla pari di quel nuovo anno che rinasceva, anche solo dal
calendario, in un primo istante di un primo giorno di un primo mese
per ripetere l'eterno ciclo del tempo. Era solo un rito, anche
quello, un mistificatorio rito, ma non per questo privo di importanza
e di significato per il nostro inconscio collettivo.
Così era la
cantina del professore, piena, anzi strapiena e, conoscendolo, non
avrebbe potuto essere diversamente. Prima di arrivare alla grotta del
professore, durante il tragitto nella furgonette, era avvenuto un
fatto strano. Il professore, mentre era alla guida, aveva posato un
braccio sulle spalle di Alex, e sorridendo aveva detto “Eh Alex, la
conferenza di stasera, la parte di assistente, e adesso ti trovo per
puro caso a chiedere un passaggio. Proprio amore a prima vista, il
nostro, un vero colpo di fulmine. No?”. A tali parole Alex rimase
alquanto imbarazzato ma bastò la risata del professore per fargli
intendere che quella frase era solo un'altra delle sue battute,
buttata là per adeguarsi a quel suo modo di essere anticonformista.
“Scherzavo!” disse il professore. Così dicendo la mano del
professore ritornò sul volante lasciando Alex libero di fare un bel
respiro di sollievo. Nella caverna il professore si prodigò in una
scena in cui per mostrare come alcuni suoi colleghi si stavano
preparando a quella serata. Per interpretare la loro ansia per
quell'attesa si mise in bocca 4/5 sigarette, sottolineando in tale
modo come stavano affrontando il nervosismo pre-serata, e poi, come
mostrando il lato buffo della situazione, sputò d'un colpo per terra
le sigarette e con una fragorosa risata si spinse all'indietro sulla
quella vecchia poltrona abbandonata alzando gambe e braccia come un
bambinone e mostrando le mani a pugno in segno di vittoria.
Un' altra
persona aveva assistito silenziosamente a questa scena di gaudio e la
presenza di un altro spettatore, oltre ad Alex, sicuramente aveva
incitato il professore a quella rappresentazione a dir poco teatrale.
L'altro rimaneva in silenzio, in un angolo leggermente meno
illuminato rispetto al resto del deposito-grotta. Alex, nonostante
non lo vedesse in volto e fosse avvolto da leggera ombra, lo percepì
comunque come uno spirito buono. L'ultimo show del professore
consistette nel disfarsi delle scarpe sfregando i talloni l'uno
contro l'altro e, facendole volare da sopra alla furgonetta, si
apprestò, a suo dire, alla ricerca dell'elegante abito necessario
alla serata. Fu allora che si rivolse ad Alex con uno sguardo
sorridente quasi a volergli dire: “Keep calm and relax”.
Dal
balcone della cucina, anche senza affacciarsi si poteva vedere il
traffico delle autovetture che, a quell'ora del mattino, era più che
scorrevole. Entro pochi muniti anch'egli sarebbe stato parte di quel
flusso di automobili per giungere al suo ufficio nei pressi della
Nomentana. “Certo” si disse Alex dando fine al fondo della sua
tazza, ritornando alla realtà e ripensando ancora a quell'annuncio (Voglio una relazione seria), “Ci sono vari modi di
intendere la serietà”. Anche il professore era, in cattedra, nei
consigli, con i colleghi, una persona che teneva ai valori e
soprattutto al rendimento degli allievi. E non per questo, a dispetto
del parere degli avversi colleghi, che proprio non digerivano il suo
humour, non fosse una persona seria. Anzi, certamente era il più
serio di tutti.
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